il sistema di deflazione salariale organizzata nell’eurozona che ha fatto della Germania il campione di esportazione a livello globale dopo la Cina, ha sicuramento arricchito le buste paga dei lavoratori tedeschi ed in misura pù contenuta quelle dei lavoratori francesi, ma ha praticamente fatto degli italiani i lavoratori più poveri d’Europa negli ultimi sette anni, secondo una ricerca su dati Ocse condotta con scrupolo non da un centro studi sovranista, bensì dalla Fondazione Di Vittorio, istituto nazionale della Cgil per la ricerca storica, economica, sociale e della formazione sindacale. Gli stipendi dei lavoratori italiani si sono praticamente cristallizzati intorno ai 29.000 euro lordi di media tra il 2010 ed il 2017 , mentre quelli tedeschi hanno registrato un incremento da 35.600 a 39.500 euro lordi. In buona sostanza, con l’adozione dell’euromarco, i lavoratori italiani hanno finanziato la competitività dei prodotti tedeschi pagata sia in termini di austerità dottrinale e quindi tagli agli investimenti e conseguente riduzione dei posti di lavoro, sia in termini di impoverimento generalizzato dei salari con la scelta massiva del modello a frazionamento orario del lavoro che ha permesso però formalmente di contenere i numeri della disooccupazione. Gli archivi Inps infatti registrano 2,4 milioni di lavoratori con una retribuzione annua fino a 5000 euro; 4,3 milioni di lavoratori dipendenti con una retribuzione lorda fino a 10.000 euro. A voler forzare i concetti, ma alla fin fine nemmeno poi tanto, possiamo affermare in attesa di una argomentata smentita, che la UE ha messo direttamente le mani nelle tasche degli italiani per favorire la corsa della locomotiva tedesca sui binari della globalizzazione.