Primo maggio, festa dei lavoratori, ma per la generazione Z il lavoro NON è tutto. Se per i “boomers”, il lavoro fu avanti ogni cosa al fine di vedere realizzati i propri sogni; per i loro nipoti cioé, per i giovani nati nel XXI secolo, il lavoro è solamente una delle componenti che concorrono a definire la propria identità. La famiglia, l’amicizia, la fedeltà, i viaggi, il tempo libero insomma, i fattori che determinano la qualità della vita sono elementi irrinunciabili. Per i giovani del III millennio, il lavoro è un semplice viatico alla soddisfazione dei bisogni materiali, ma non è più un motivo esistenziale esclusivo capace di marginalizzare ogni altro interesse ed assorbire ogni impegno di energia. A certificarlo, una indagine di “fragilitalia” condotta da Ipsos per Legacoop.
Si spiega anche così la difficoltà di molti imprenditori ad assumere e la maggiore mobilità del mercato del lavoro in generale che non risparmia il pubblico impiego. La diserzione dal posto fisso Statale in favore di migliori condizioni di lavoro offerte dal settore privato od anche e non ultima la preferenza per il lavoro autonomo che fino alla prima decade degli anni 2000 sarebbe stata inimmaginabile soprattutto nelle aree del meridione, oggi non sono infrequenti ed anzi, fanno registrare un esodo rilevante già dai primi anni di assunzione. La generazione Z quindi, più che sul sindacato, ha fatto leva sul mercato. Non accetta un impiego purché sia, ma contratta stipendio e condizioni di lavoro. Uno scenario nel quale le rigidità contrattuali del settore pubblico finiscono per portarlo fuori scala competitiva. Una parola grossa, la cultura del lavoro è stata investita dai cambiamenti di costume e sarà un bene prendere atto delle mutate condizioni e stratificazioni sociali se non si vuole fare della PA italiana il refugia peccatorum della mediocrità professionale espulsa dal mercato. Meno regolamenti, più opportunità e più alti stipendi!