La pubblica Amministrazione italiana non è assolutamente in condizioni tecniche ed operative per implemetare lo IT-Wallet che si vorrebbe completamente attivo già dal primo gennaio 2025. Tanto meno lo sono gli utenti italiani la stragrande maggioranza dei quali è iscritta all’anagrafe dei boomers. Fatte salve alcune eccezioni, come chi scrive, i boomers sono impacciati o del tutto incapaci di acquisire le abilità necessarie a gestire la propria identità digitale e soprattutto a comprenderne i rischi ed a bilanciarli con gli eventuali benefici al fine di adottare le necessarie misure di sicurezza. Sono cresciuti e si sono formati con la biro tra le dita ed il quaderno sottomani.
il portafoglio digitale di app IO va ibernato e ripensato
Il portafogli digitale deve essere necessariamente sospeso. Anzi, chiuso. Alla luce di quanto è salito alle cronache, la scelta di anticipare i tempi e concentrare in un solo dispositivo, in un solo luogo fisico, la globalità delle nostre informazioni personali sensibili appare del tutto scriteriata e fuori misura. Pensare di poter offrire il fianco di un profilo personale completo a chiunque abbia le credenziali di accesso su di un dispotivo debole, quale resta lo smartphone, esposto più di ogni altra macchina agli attacchi hackers come alle facili intrusioni di malintenzionati, significa nella migliore delle ipotesi, lasciarsi trasportare dagli entusiasmi e non vogliamo ipotizzare nemmeno quanto siano interessati.
l’idea di interoperabilità dei dati ipersensibili viola la risevatezza ed i diritti umani
Chiunque abbia la consuetudine di scorrere queste pagine, sa quanto teniamo alla informatizzazione della Pubblica Amministrazione. I dati aperti e la trasparenze, però sono cosa ben diversa dalla vita delle persone; sono cosa ben distante dalla sfera intima e privata che si vuole mettere alla mercè di chiunque, che siano operatori delle istituzioni, che siano criminali, che siano semplici curiosi od interessati. L’idea di interoperabilità applicata alla sfera ipersensibile, vale a significare i dati che investono l’aria della condizione personale come li definisce la stessa legge sulla privacy (d.lgs 196/2003), è semplicemente allucinante e configura, a nostro modesto avviso, la violazione grave dei diritti soggettivi che fanno capo a ciascun uomo come circostanziati dalla magna Carta.
portafoglio digitale, allo stato dell’arte, la tecnologia ancora non tutela la riservatezza
Restare coi piedi piantati a terra quando si legifera su temi così tanto delicati da interessare la totalità della popolazione, rimane una tutela minima da garantire alla libertà di scelta. Anche a voler trascurare la circostanza che vasti territori della Repubblica sono tagliati fuori ed isolati dai segnali di connessione che inevitabilmente creerebbe disfunzioni e malfunzionamenti insuperabili anche dalla disponibilità di accesso off line come potete ascoltare dalla trasmissione di RadioSole24 che qui vi proponiamo, rimane imprescindibile l’esigenza primaria di garantire la riservatezza assoluta delle persone. Ed allo stato dell’arte, la tecnologia non riesce a tutelare sufficientemente i diritti inviolabili, come testimaniano i recenti casi di cronaca nera.
60 ml di poveracci non hanno altra difesa che tenere per sé i propri dati sensibili
La Pubblica Amministrazione è impreparata. Possiamo solamente sperare che aver colpita la riservatezza della classe politica e della classe dirigenziale ai massimi livelli, possa indurre un ripensamento che porti quantomeno ad una ibernazione del progetto di portafoglio digitale offerto in bella mostra alla curiosità del primo che passa. Che fosse anche solamente annoiato, come il funzionario di banca pugliese, non si comprende perchè debba tenere sotto scacco 60 milioni di poveracci, la cui unica difesa è quella di portare con sé i propri dati, compresi quelli di salute e non cederli a sconosciuti.