Contrattazione decentrata, un’architettura che tradisce il merito

Negli ultimi due mesi il dibattito sulla contrattazione integrativa nella Pubblica Amministrazione è tornato al centro dell’attenzione. Con l’entrata in vigore delle nuove direttive ARAN per l’applicazione dei contratti 2019-2021 e l’aggiornamento dei PIAO per il 2025, si torna a parlare di merito, premialità e performance. Ma ancora una volta, nella pratica, il quadro che emerge è quello di una narrazione disallineata con la realtà degli uffici pubblici.

La retorica del merito e la realtà del favore

Sulla carta, la Pubblica Amministrazione italiana avrebbe dovuto da tempo abbandonare i sistemi distributivi “a pioggia” per imboccare la strada della selettività e della valorizzazione delle capacità individuali. Le riforme Brunetta del 2009 e quelle più recenti del governo Draghi avevano finalmente posto le basi per una cultura della performance orientata ai risultati, all’impegno, alla responsabilità individuale.

Ma il modello è stato progressivamente svuotato da una resistenza culturale interna e da derive organizzative che lasciano ampio margine a logiche relazionali, alle simpatie del dirigente di turno, o – peggio – alle conventicole d’ufficio. La valutazione della performance resta, troppo spesso, una procedura opaca, percepita come rituale formale o come leva di potere discrezionale, e non come reale strumento di gestione e miglioramento.

La contrattazione decentrata come rituale

Il nodo della questione è evidente nella contrattazione decentrata integrativa. I fondi del salario accessorio sono distribuiti secondo meccanismi ancora troppo legati a criteri poco trasparenti o, peggio, uniformi. Le ultime circolari ARAN ribadiscono la centralità della contrattazione locale, ma le autonomie sono fortemente condizionate dai tetti di spesa e dai vincoli normativi, senza alcun incentivo a premiare davvero chi lavora meglio o produce valore.

Le commissioni di valutazione interna, quando esistono, spesso si limitano a ratificare scelte già prese altrove, o a distribuire premi in maniera “equitativa” per evitare conflitti. Un paradosso che danneggia proprio i lavoratori più capaci, quelli che ogni giorno tengono in piedi – spesso da soli – interi uffici in cronica sotto-dotazione.

PIAO 2025: più rendicontazione, meno sostanza

Il Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO), nella sua edizione 2025, accentua ancora di più il peso della rendicontazione formale. Il rischio è che la performance venga ridotta a un documento da compilare, anziché un processo per migliorare l’organizzazione e valorizzare chi davvero contribuisce a raggiungere gli obiettivi.

Senza una reale cultura del merito e strumenti efficaci per premiare l’eccellenza, il PIAO rischia di essere l’ennesima scatola vuota. Le pubbliche amministrazioni continueranno a gestire l’ordinario con personale sottopagato, poco motivato, e demoralizzato dalla mancanza di riconoscimento autentico.

Una battaglia culturale da non abbandonare

È urgente riaprire un confronto serio sulla qualità della contrattazione decentrata e sul valore strategico della performance nella PA. Le norme, da sole, non bastano. Serve una classe dirigente – e sindacale – all’altezza, capace di comprendere che il merito non è un’opzione ideologica, ma l’unica strada per una PA moderna, giusta e funzionale.

Il Lavoratore continuerà a vigilare su questi temi, nella convinzione che solo attraverso una valutazione oggettiva, professionale e trasparente si possa ridare dignità al lavoro pubblico e ai suoi migliori interpreti.


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