Corsini di Roma 3, se non è woke non è scuola

Non trova requie, la scuola italiana. Dalla Berlinguer ad oggi, sono oltre trent’anni che si succedono riforme tanto inutili, quanto dannose e tutte nel segno della destrutturazione della cattedra. Il tentativo maldestro di innescare una metamorfosi del docente in operatore formativo. Un malinteso democratico quello della inclusione ed eguaglianza ispirato dalla peggio gioventù sessantottina i cui risultati non potevano essere diversi dal fallimento se, come ci conferma l’OCSE: la metà degli adulti in Italia non comprende il testo che legge.

Di fronte ad un simile, desolante quadro di inetto ideologismo, lo scadimento certificato di quella che fu una eccellenza italiana: il sistema gentiliano di istruzione selettiva capace di valorizzare le intelligenze e professionalizzare i talenti di ciascuno; di fronte a quel modello di scuola di successo che ebbe a generare la classe dirigente che rimise in piedi l’Italia distrutta del dopoguerra traghettandola nella modernità con la trasformazione del paese agricolo in paese a sviluppo avanzato, ci si attenderebbe anche solamente un cenno di ripensamento.

Invece, ci ritroviamo nello sconforto ad ascoltare illustri accademici teorizzare ancora una volta la scuola inclusiva delle diversità dove il docente intrattiene relazioni paritarie con la classe; non trasferisce conoscenze e saperi, ma assenconda usi, costumi e linguaggi delle minoranze rinunciando ad ogni tentativo di elevazione dello spirito di sacrificio e dell’impegno lungo un percosro di istruzione faticoso che segni le tappe dalla maturazione, questa sì, diversa e soggettiva.

Quasi una criminalizzazione questa dell’ora di latino con la quale, il ministro Valditara prova a tracciare un sentiero di recupero espressivo e soprattutto di riordino intellettivo di adolescenti lasciati nella ignoranza alla mercé degli istinti. Che i somari vadano a lavorare i campi; che i giovani di buona volontà, possano farsi valere nel duro lavoro dello studio serio e profittevole.

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